da Avvenire, sabato 18 gennaio 2025
di Paolo Viana
Tra liste d’attesa e difficoltà economiche, la sanità seleziona sempre di più l’accesso per censo. L’analisi del Censis sulle cifre di una piaga denunciata dal Capo dello Stato e dalla Chiesa italiana
Un fenomeno già indagato dall’Istat e dal Censis
Il tema è diventato di scottante attualità con la riforma dell’autonomia differenziata, che inciderà pesantemente sulla gestione della spesa sanitaria.
Intervista a Ketty Vaccaro, responsabile Ricerca biomedica e Salute del Censis.
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- L’Istat stima in 4,5 milioni (il 7,6% della popolazione) gli italiani che nel 2023 hanno rinunciato a prestazioni sanitarie di cui avevano bisogno (visite specialistiche, escluse le visite dentistiche, o esami diagnostici), per problemi economici (4,2%) o legati alle difficoltà di accesso al servizio, incluse le lunghe liste di attesa (il 4,5%).
- Ogni 100 tentativi di prenotare prestazioni nel Servizio sanitario il 34,9% si è concluso con la decisione di rivolgersi alla sanità a pagamento, cioè in intramoenia o nel privato puro. In altre parole, in un caso su tre il costo della prestazione sanitaria è stato a totale carico dei cittadini.
- Il 36,9% degli italiani ha dichiarato di aver dovuto tagliare “altre spese” per finanziare le proprie spese sanitarie; questa quota diventa il 50,4% delle persone con reddito basso, il 40,5% con reddito medio-basso, il 27,7% con reddito medio-alto e il 22,6% con reddito alto.
- «Il rischio è quello di una sanità per censo in cui chi ha maggiori diponibilità economiche può bypassare le liste d’attesa accedendo alla sanità a pagamento, mentre chi ha più difficoltà economiche deve attendere o finisce per rinunciare alle prestazioni specialistiche o diagnostiche di cui ha bisogno».
- Cosa fa la politica per dare soluzioni? Soluzioni zero, ma un bel risparmio per lo Stato. « In fondo le liste d’attesa rappresentano una forma di razionamento non palese che impone ai cittadini di mettere mano al portafoglio per accedere alle cure, come dimostra a livello più generale anche l’andamento della spesa sanitaria negli ultimi anni» commenta Vaccaro, ricordando che la spesa sanitaria privata è aumentata nel decennio 2013-2023 del 20,2% in termini reali, mentre quella pubblica del 5,2%. E segnala che la spesa sanitaria privata delle famiglie nel 2023 (44.342 miliardi di euro) rappresentava il 25,2% del totale della spesa sanitaria (rispetto al 23,3% del 2013).
- «Si tratta di un percorso di lungo periodo che ha vincolato il Servizio sanitario con un approccio ragionieristico, già a partire dai decreti legislativi 502/92 e 517/93, imponendo tagli e modelli operativi con vincoli di budget che hanno finito per far prevalere le ragioni economiche sulla tutela della salute e imposto, più o meno sottotraccia, una forma di privatizzazione del rischio sanitario» dichiara.
- Al di là degli indicatori ufficiali, una valutazione indiretta della diversità delle performance sanitarie regionali si ritrova nei giudizi dei cittadini, con una differenza rilevante tra il 58,8% di chi si dichiara soddisfatto della sanità della propria regione tra i residenti nel Nord-Est e un ampiamente minoritario 29,2% di chi vive tra Sud e Isole».
- La gravità della situazione è confermata dalla penalizzazione cui vanno incontro le persone con maggiori bisogni sanitari e problemi di cronicità, che più avrebbero bisogno di accedere a prestazioni sanitarie e per tempi lunghi – come i controlli periodici – che non riescono a permettersi. « Il rischio che stiamo correndo è una privatizzazione non palese, con un allontanamento progressivo dai princìpi universalistici della sanità pubblica cha sta aprendo la strada a una sanità moltiplicatrice di disuguaglianze sociali e anche territoriali, ma anche a una percezione di maggiore insicurezza collettiva. E di questo progressivo viraggio gli italiani sono preoccupati, come emerge dall’elevata quota (84,2%) rilevata dal Censis di italiani convinti che i benestanti possono curarsi prima e meglio dei meno abbienti» osserva Vaccaro.
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